I provvedimenti giudiziari che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché di condanna alla restituzione di denaro o beni, o di risoluzione di un contratto, anche quando la dichiarazione di nullità riguardi singole clausole ex art. 1419, comma 2, c.c., e non l’intero contratto che sopravvive tra le parti con la sostituzione della disciplina legale alle clausole nulle (nella specie, clausole di capitalizzazione trimestrale di interessi debitori relativi a contratti bancari con condanna della banca alla restituzione di somme indebitamente riscosse), sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
[Leggi di più…]Omesso versamento delle ritenute e vincolo solidale: la pronuncia delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, a risoluzione di contrasto, pronunciando ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., hanno affermato che nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute.
La Sezione semplice, cui era stato assegnato il ricorso, aveva ravvisato un contrasto tra talune decisioni anteriori, che avrebbero escluso l’esistenza della solidarietà tra sostituto e sostituito (Cass. Sez. I n. 13664 del 1999; Cass. sez. I n. 12991 del 1999) e la successiva giurisprudenza, che avrebbe invece costantemente affermato il principio opposto (Cass. sez. VI-T n. 12076 del 2016; Cass. sez. VI-T n. 9933 del 2015; Cass. sez. trib. n. 19580 del 2014: Cass. sez. trib. n. 23121 del 2013; Cass. sez. trib. n. 8653 del 2011; Cass. sez. trib. n. 14033 del 2006).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10378 del 12 aprile 2019, osservando che la tesi della solidarietà è stata tradizionalmente fondata sul presupposto che l’obbligazione del versamento fosse unica, sia per il sostituto, sia per il sostituito e che, alla stessa, fosse perciò <<in origine>> tenuto in via solidale anche il sostituito, in applicazione dell’art. 1294 c.c., ha ritenuto di non condividere tale orientamento, sottolineando che la speciale fattispecie di solidarietà del sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, sia espressamente condizionata (anche dalla legge: art. 35 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602) alla circostanza che non siano state operate le ritenute.
Notifica a mezzo posta, il termine per la costituzione decorre dalla ricezione
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 13452 del 29 maggio 2017), componendo il relativo contrasto, hanno stabilito che, nel processo tributario, il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente e dell’appellante, che si avvalga della notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data di spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall’evento che la legge considera equipollente alla ricezione).
Giustizia del copia incolla, la parola alle Sezioni Unite
Sull’abuso del copia e incolla nella redazione delle sentenze si è detto e scritto molto (qualche considerazione si può leggere anche su questo blog). Una recente ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (ordinanza interlocutoria 27 gennaio 2014, n. 1531, Presidente M. Adamo, Estensore E. Cirillo) affronta funditus l’argomento e, considerata la duplice chiave di lettura con possibili contrastanti soluzioni, rimette al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di massima di particolare importanza, se debba considerarsi nulla, o meno, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale la cui motivazione costituisce integrale trascrizione delle controdeduzioni depositate dall’Agenzia delle Entrate, senza che siano adeguatamente esplicitate le ragioni dell’adesione alla relativa tesi. Come sottolineato nelle conclusioni della ordinanza, la soluzione della questione potrà avere ricadute anche al di fuori del processo tributario, nei processi civili e penali (nonché nei giudizi disciplinari su comportamenti similari).
Aggiornamento: con la sentenza 21 ottobre 2014 – 16 gennaio 2015, n. 642, le Sezioni Uniti civili della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto:
Nel processo civile – ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 1 d.lgs. n. 546 del 1992- non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. È inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti.
Preavviso di fermo, le SS.UU. fanno luce
Con l’ordinanza n. 14831 del 2008, le SS.UU. della Corte di Cassazione avevano già risolto la dibattuta questione della giurisdizione in materia di fermo amministrativo. E ciò avevano fatto con l’affermazione del principio secondo il quale il giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un provvedimento di fermo di beni mobili registrati… deve accertare quale sia la natura – tributaria o non tributaria – dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di sé, interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non tributaria), per la decisione del merito, e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. Allo stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito. Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proprorre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti.
Il dibattito è proseguito intorno alla parallela problematica della autonoma impugnabilità del c.d. preavviso, non solo per l’oggettiva incertezza in ordine alla qualificazione giuridica dell’atto ma, soprattutto, per la congerie di interpretazioni, spesso contrapposte, che la giurisprudenza ha saputo produrre, non sempre con esiti felici per il contribuente medesimo.
Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sia pure decidendo un ricorso per regolamento di giurisdizione (ed affermando la giurisdizione delle Commissioni Tributarie laddove alla base della procedura di fermo si collochi un credito di natura tributaria), con l’ordinanza n. 10672 dell’11 maggio 2009 hanno affermato il seguente principio di diritto:
il preavviso di fermo amministrativo ex art. 86 D.P.R. n. 602 del 1973 che riguardi una pretesa creditoria dell’ente pubblico di natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice tributario in quanto atto funzionale, in una prospettiva di tutela del diritto di difesa del contribuente e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, a portare a conoscenza del medesimo contribuente, destinatario del provvedimento di fermo, una determinata pretesa tributaria rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c. l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva.