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Le Sezioni Unite sul danno esistenziale

15 Novembre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

danno esistenziale cassazione

Con l’importante decisione 11 novembre 2008 n. 26972 (di contenuto identico ad altre tre sentenze, tutte depositate contestualmente) le Sezioni Unite della Cassazione hanno non solo composto i precedenti contrasti sulla risarcibilità del c.d. danno esistenziale, ma hanno anche più in generale riesaminato approfonditamente i presupposti ed il contenuto della nozione di “danno non patrimoniale” di cui all’art. 2059 c.c..
La sentenza ha innanzitutto ribadito che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quella in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione. La decisione è quindi passata ad esaminare il contenuto della nozione di danno non patrimoniale, stabilendo che quest’ultimo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. E’, pertanto, scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante.
Da questo principio è stato tratto il corollario che non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d’un danno definito “esistenziale”, inteso quale la perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce né più né meno che un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., e che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato.
Quando, per contro, un pregiudizio del tipo definito in dottrina “esistenziale” sia causato da condotte che non siano lesive di specifici diritti della persona costituzionalmente garantiti, esso sarà irrisarcibile, giusta la limitazione di cui all’art. 2059 c.c..
Da ciò le SS.UU. hanno tratto spunto per negare la risarcibilità dei danni non patrimoniali cc.dd. “bagatellari”, ossia quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità, ed hanno al riguardo avvertito che la liquidazione, specie nei giudizi decisi dal giudice di pace secondo equità, di danni non patrimoniali non gravi o causati da offese non serie, è censurabile in sede di gravame per violazione di un principio informatore della materia.
La sentenza è completata da tre importanti precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, liquidazione e prova del danno.
Per quanto attiene la responsabilità contrattuale, le SS.UU. hanno precisato che anche dall’inadempimento di una obbligazione contrattuale può derivare un danno non patrimoniale, che sarà risarcibile nei limiti ed alle condizioni già viste (e quindi o nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero quando l’inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione).
Per quanto attiene la liquidazione del danno, le SS.UU. hanno ricordato che il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni: deve, pertanto, ritenersi sbagliata la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; come pure quella di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, per quanto detto, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo.
Infine, per quanto attiene la prova del danno, le SS.UU. hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l’onere del danneggiato gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio.

Fonte: Corte di Cassazione

archiviato in: civile etichette: danno esistenziale, Sezioni Unite

Caso Englaro, le motivazioni della Corte costituzionale

9 Ottobre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

La Corte di Cassazione, Sez. I civile, con sentenza n. 21748 del 4-16 ottobre 2007 aveva affermato il principio di diritto della concedibilità dell’autorizzazione ad interrompere il trattamento vitale di un malato in stato vegetativo permanente (alimentazione con sondino nasogastrico): a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche sia pur flebile recupero della coscienza e di un ritorno alla percezione del mondo esterno; b) sempre che tale istanza sia espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona.

La Corte di Appello di Milano, Sez. 1. civile, quale giudice del rinvio, con decreto del 25 giugno 2008, nell’ambito del procedimento di volontaria giurisdizione n. 88/2008, aveva poi richiamate, condivise e rese operative le determinazioni di cui alla predetta sentenza della Corte di cassazione.

Camera dei Deputati e Senato della Repubblica hanno sollevato dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione tra i poteri dello stato: stante la lacuna normativa in materia, i giudici avrebbero colmato il vuoto assunto a presupposto delle proprie pronunce mediante un’attività che assume sostanzialmente i connotati di vera e propria attività di produzione normativa.

Con l’ordinanza n. 334 depositata l’8.10.2008, la Corte costituzionale ha dichiarato i ricorsi inammissibili.

archiviato in: civile etichette: corte costituzionale, Englaro, salute, stato vegetativo

Contratto di telefonia e tentativo di conciliazione

8 Ottobre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

In tema di contratti in materia di telecomunicazioni tra utente e soggetto autorizzato o destinatario di licenze rientranti tra le fattispecie disciplinate dalla Legge 31 luglio 1997, n. 249 (“Istituzione dell’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo“) e dal “regolamento concernente la risoluzione delle controversie tra organismi di telecomunicazioni e utenti” approvato da detta Autorità (v. l’Allegato A, delibera n. 182/02/CONS), anche le controversie volte a stabilire se sia stato o meno stipulato uno dei predetti contratti, sono assoggettate alla disciplina prevista in detta normativa nel comma 11 dell’art. 1 della legge e negli artt. 3 e 4 del regolamento; e quindi l’attore, prima di agire in giudizio, è tenuto a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio. [Leggi di più…]

archiviato in: civile etichette: conciliazione, controversie, corecom, telecomunicazioni, telefonia

Comunione o non comunione?

1 Ottobre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Lo scorso anno mio marito ha acquistato l’appartamento nel quale poi siamo andati ad abitare. Io ho contribuito in parte al pagamento del prezzo, ma è stato lui, da solo, a sbrigare tutte le formalità e, in particolare, è stato lui a sottoscrivere dal Notaio l’atto di compravendita. Vorrei sapere se, essendo in regime di comunione, il bene è comunque di entrambi.

A norma dell’art. 177, lett. a), cod. civ., costituiscono oggetto della comunione gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali; dunque, non ha alcuna rilevanza, per escludere il bene in questione dalla comunione, la circostanza che l’atto sia stato sottoscritto da un solo coniuge.

archiviato in: civile, famiglia etichette: acquisti, comunione, coniugi, matrimonio, regime patrimoniale

Sentenze ecclesiastiche di nullità e limiti alla delibazione

28 Settembre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Come è noto, le sentenze ecclesiastiche di nullità non spiegano direttamente effetti nell’ordinamento italiano, dovendo prima superare il giudizio di delibazione ad opera della Corte di Appello territorialmente competente.

Decidendo un ricorso rimesso alle S.U., per la particolare importanza della questione di massima e al fine di evitare preventivamente contrasti, la Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza n. 19809 del 18 luglio 2008 (Presidente V. Carbone, Relatore F. Forte), ha affermato il seguente principio di diritto:

Non ogni vizio del consenso accertato nelle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio consente di riconoscerne la efficacia nell’ordinamento interno, dandosi rilievo nel diritto canonico come incidenti sull’iter formativo del volere anche a motivi e al foro interno non significativo in rapporto al nostro ordine pubblico, per il quale solo cause esterne ed oggettive possono incidere sulla formazione e manifestazione di volontà dei nubendi, viziandola o facendola mancare. L’errore, se indotto da dolo, che rileva nell’ordinamento canonico ma non in quello italiano, se accertato come causa di invalidità in una sentenza ecclesiastica, potrà dar luogo al riconoscimento di questa in Italia, solo se sia consistito in una falsa rappresentazione della realtà, che abbia avuto ad oggetto circostanze oggettive, incidenti su connotati stabili e permanenti, qualificanti la persona dell’altro nubendo.

Nella specie, è stata ritenuta in contrasto assoluto con l’ordine pubblico la rilevanza data, nella formazione della volontà dei nubendi, all’errore soggettivo consistito nella ignoranza di uno dei nubendi in ordine all’infedeltà dell’altro prima del matrimonio.

archiviato in: civile, famiglia etichette: delibazione, infedeltà, matrimonio, nullità, ordine pubblico, sentenze ecclesiastiche

Vorrei divorziare, ma…

18 Settembre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

risposte a quesiti

Un anno circa dopo la separazione ho ospitato da me mio marito perché aveva poco prima subito uno sfratto ed era alla ricerca di un nuovo alloggio. In un primo momento contava di restare a casa per un mese o poco più, ma alla fine abbiamo coabitato per oltre dieci mesi e, devo aggiungere, in quel periodo andavamo davvero d’accordo, ci comportavamo come se non ci fossimo mai separati in Tribunale. Poi le cose sono nuovamente cambiate ed oggi sono fermamente intenzionata a chiedere il divorzio, anche contro la sua volontà. Ho sentito dire che quei mesi in cui siamo tornati insieme potrebbero crearmi qualche problema. Può dirmi in che senso e fornirmi un chiarimento sul punto? Grazie. Daniela, via e-mail.

La legge sul divorzio stabilisce le condizioni necessarie per ottenere lo scioglimento (o la cessazione degli effetti civili) del matrimonio e, tra queste, il protrarsi ininterrotto della separazione da almeno tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale. La riconciliazione dei coniugi, interrompendo la separazione, fa venir meno la suddetta condizione.

Sulla specifica questione ha più volte avuto occasione di pronunciarsi la Suprema Corte, la quale ha affermato il principio, da considerarsi ormai pacifico in giurisprudenza, secondo cui il ripristino della coabitazione, che, pur non integrando di per sé la vera e propria convivenza coniugale (potendo il vivere sotto lo stesso tetto non essere accompagnato da comportamenti volti ad una totale condivisione della vita familiare), tuttavia assume, anche in relazione alla sua durata, un forte valore presuntivo, per la sua idoneità a dimostrare la volontà dei coniugi di superare il precedente stato (cfr. Cassazione civile , sez. I, sentenza 25.05.2007 n° 12314, Cassazione civile, sez. I, sentenza 06.12.2006 n° 26165).

archiviato in: famiglia etichette: convivenza, divorzio, famiglia, quesiti, riconciliazione, separazione

Adsl lenta, recedere si può senza costi

16 Settembre 2008 by Gioacchino Celotti 1 commento

Pur continuando a pagare il canone Telecom, ho aderito ad una offerta Adsl di Infostrada che contemplava traffico illimitato ad una velocità di 7 mega in download. Sin dalla prima connessione mi sono accorto che la connessione era piuttosto lenta e, sicuramente, inferiore alla velocità prevista dall’offerta. Con il passare delle settimane la situazione è decisamente peggiorata e, misurando la velocità con appositi test in orari diversi della giornata, ho appurato che la stessa non va mai oltre i 150 Kbps. Non ho più intenzione di mantenere una linea Adsl in condizioni così esasperanti, ma neppure vorrei incorrere in penali per la disdetta anticipata (il contratto mi scade a maggio dell’anno prossimo). C’è un modo per passare ad altro gestore in maniera “indolore”? (Marco, via e-mail)

In primo luogo, per fare chiarezza sulla disciplina applicabile, occorre ricordare che, con la entrata in vigore del D.L. 31 gennaio 2007 n. 7 (c.d. Decreto Bersani-bis), convertito nella legge 2 aprile 2007, n. 40, i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferirlo presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati da esigenze tecniche e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle, fatta salva la facoltà degli operatori di adeguare alle disposizioni del presente articolo i rapporti contrattuali già stipulati alla data di entrata in vigore del presente decreto entro i successivi sessanta giorni.

Dunque, una eventuale clausola che prevedesse una penale in caso di disdetta anticipata sarebbe nulla ed improduttiva di effetti.

Vero è che la norma non preclude del tutto agli operatori la facoltà di imporre ai clienti il pagamento di importi (spese o “contributi” variamente denominati per far fronte ai costi sostenuti per la disattivazione del servizio), peraltro difficilmente quantificabili secondo criteri oggettivi.

Tuttavia, laddove, come sembra nel caso in esame, il recesso anticipato sia giustificato dal grave inadempimento della controparte, alcun costo potrà essere legittimamente addebitato al cliente adempiente.

archiviato in: civile, internet etichette: adsl, civile, inadempimento, lentezza, penale, quesiti, recesso

Danno da vacanza rovinata e reclamo del consumatore

13 Settembre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

In materia di pacchetti turistici, l’art. 98 del Codice del Consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 106) stabilisce:

1. ogni mancanza nell’esecuzione del contratto deve essere contestata dal consumatore senza ritardo affinche’ l’organizzatore, il suo rappresentante locale o l’accompagnatore vi pongano tempestivamente rimedio;

2. il consumatore puo’ altresi’ sporgere reclamo mediante l’invio di una raccomandata, con avviso di ricevimento, all’organizzatore o al venditore, entro e non oltre dieci giorni lavorativi dalla data del rientro nel luogo di partenza.

La disposizione in esame, anche per la sua non certo felice formulazione, è stata oggetto di discordanti interpretazioni da parte dei commentatori e dei giudici di merito.

In particolare, dubbi sono stati sollevati in ordine alla natura del rimedio contemplato dal secondo comma ed alle conseguenze derivanti dall’inosservanza del termine ivi stabilito.

E così, alla opinione di chi ritiene che la mancata proposizione del reclamo (o la proposizione dello stesso oltre il termine dei dieci giorni) comporti la necessaria decadenza dal diritto di agire in giudizio per l’accertamento dell’inadempimento ed il risarcimento del danno, si contrappone la tesi, più favorevole al consumatore e, indubbiamente, più coerente con lo spirito del Codice, del carattere facoltativo del reclamo stesso (peraltro, argomentando dal tenore letterale della disposizione: può, altresì, sporgere reclamo) e della conseguente procedibilità della domanda giudiziale anche in difetto di preventiva sua proposizione (cfr., in termini, G.d.P. Castellammare di Stabia, sent. n. 98/2007 del 2-8 gennaio 2007).

Interessante, per le distinzioni che opera, una pronuncia del Tribunale di Genova (sez. VI, sent. 28 marzo – 5 aprile 2007), secondo cui l’articolo 98 Cod. Consumo regola una fattispecie del tutto diversa da quella comunemente denominata “vacanza rovinata”, caratterizzata non da una singola, specifica “mancanza” nell’esecuzione del contratto (nella specie, il ritardo nella consegna del bagaglio), ma dalla contestazione di un comportamento complessivo tradottosi nell’aver fornito un servizio turistico (la “vacanza”) rivelatosi totalmente inidoneo rispetto a quanto pattuito. L’articolo 98 porrebbe, secondo tale indirizzo, dei termini di decadenza per il solo caso di singole mancanze nell’esecuzione del contratto, mancanze che devono essere contestate o immediatamente (perché si provveda a porvi rimedio, proprio al fine di salvaguardare il bene “vacanza”) o, dopo il rientro, nelle forme e nei termini di cui al punto 2 dell’art. 98, mentre, nei casi di “vacanza rovinata” nessuna decadenza specifica (salvo l’assoggettamento agli ordinari termini di prescrizione) sarebbe posta quando il soggetto che abbia già adempiuto chieda il risarcimento per il danno derivatole dall’inadempimento della controparte ex art. 1453 c.c.

archiviato in: civile etichette: art. 98, codice del consumo, danno, reclamo, vacanza rovinata

Sottratta per errore la corrispondenza all’omonimo del fallito, le poste condannate a risarcire il danno

11 Settembre 2008 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Da mesi il postino non consegnava la corrispondenza al signor G.G. di Ischia, ignaro questi del fatto che nome e cognome gli stessero giocando un brutto tiro. Per disposizione del Tribunale, infatti, tutta la corrispondenza diretta ad un imprenditore fallito, suo omonimo parente, veniva trasmessa al curatore del fallimento, come previsto dalla normativa all’epoca vigente. Senza andare troppo per il sottile, l’ufficio postale addetto al recapito, pensando solo di osservare quella severa disposizione, aveva preso a dirottare anche la corrispondenza del nostro G.G., del tutto estraneo alle vicende fallimentari, perseverando nella condotta anche dopo le rimostranze del diretto interessato. Intanto, però, si era diffusa nel paese la voce che fallito fosse proprio quest’ultimo, cui non restava che far valere le proprie ragioni dinanzi all’Autorità Giudiziaria.

Con sentenza n. 198/08 del 23 maggio 2008, il Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Ischia, in persona del Giudice Unico dott. Corrado D’Ambrosio, ha dichiarato “la responsabilità delle Poste Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, e del Responsabile dell’Ufficio Postale (…), nella illecita sottrazione e/o apertura della corrispondenza indirizzata all’attore…, ed ha condannato i convenuti al risarcimento dei danni patiti dall’attore, in conseguenza della condotta illecita di cui sopra e della diffusione di false notizie sul fallimento dell’istante medesimo, mediante pagamento della somma di € 15.000,00, oltre interessi nella misura legale e rivalutazione dal giorno della domanda fino all’effettivo soddisfo”, nonché al pagamento delle spese processuali.

archiviato in: civile etichette: civile, corrispondenza, fallimento, poste italiane, risarcimento, tribunale ischia

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