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Assicurazioni, il sistema di risarcimento diretto non preclude l’azione ordinaria

19 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Con sentenza n. 180 depositata in data odierna, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal Giudice di Pace di Palermo. L’azione diretta contro il proprio assicuratore – chiarisce la Consulta – è configurabile come una facoltà, e quindi un’alternativa all’azione tradizionale per far valere la responsabilità dell’autore del danno.

Il nuovo sistema di risarcimento diretto – osserva ancora la Corte – non consente di ritenere escluse le azioni già previste dall’ordinamento in favore del danneggiato. Del resto, dati i limiti imposti dalla legge delega e la necessità di interpretare la normativa delegata nel significato compatibile con principi e criteri direttivi della delega stessa, la scelta del danneggiato di procedere nei soli confronti del responsabile civile trova fondamento nella normativa codicistica, non esplicitamente abrogata. Allo stesso modo in cui fu pacificamente ritenuto che l’introduzione, con l’art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, dell’azione diretta contro l’assicuratore non elideva l’ordinaria azione di responsabilità civile nella circolazione stradale (art. 2054 cod. civ.: v., da ultimo, Cass., sentenza 11 giugno 2008, n. 15462), parimenti, la disciplina confermativa dell’azione diretta (art. 144 Cod. ass.) e l’introduzione di un’ipotesi speciale di essa, quella contro il proprio assicuratore (art. 149), non può aver precluso l’azione di responsabilità civile.

La Corte costituzionale si mostra consapevole del fatto che l’interpretazione costituzionalmente orientata, la quale, accanto alla nuova azione diretta contro il proprio assicuratore, ammette l’esperibilità dell’azione ex art. 2054 c.c. e dell’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile civile, possa aprire una serie di problemi applicativi. Tuttavia, si legge nel passaggio conclusivo della sentenza, “la soluzione di detti problemi esula dai limiti del giudizio costituzionale, non potendo che essere demandata agli interpreti”.

archiviato in: civile etichette: 2054 c.c., assicurazioni, corte costituzionale, indennizzo diretto

Lottizzazione abusiva e prescrizione del reato, legittima la confisca

8 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

tribunale aula

La Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale della disciplina in tema di confisca dei terreni e manufatti abusivamente lottizzati – sollevata in udienza dal Sostituto Procuratore Generale – per asserito contrasto con gli artt. 117 Cost. e 7 C.E.D.U., ne ha dichiarato la manifesta infondatezza, affermando che la confisca conserva la sua natura sanzionatoria, anche se ordinata dopo l’estinzione del reato, in quanto collegata al presupposto di un reato estinto ma storicamente esistente ed applicata da un organo giurisdizionale penale.

Il profilo di incostituzionalità viene prospettato con riferimento all’art. 117 della Costituzione e all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comma 1, secondo cui “nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Non può del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella che era applicabile al momento in cui il reato fu commesso”.

La Corte, con sentenza n.  20243 del 25 marzo 2009 – depositata il 14 maggio 2009 (Sezione Terza Penale, Presidente P. Onorato, Relatore M. Marmo), ha escluso ogni contrasto con la Costituzione, richiamando precedenti orientamenti della stessa Sezione ed affermando che l’estinzione del reato per prescrizione è un concetto relativo e non assoluto perché esso implica una rinuncia dello Stato al diritto di punire per il solo effetto del decorso del tempo, ma nulla impedisce che tale rinuncia possa essere più o meno limitata in base alla valutazione comparativa dei contrapposti interessi in gioco.

archiviato in: penale etichette: confisca, estinzione del reato, lottizzazione abusiva, prescrizione penale

Scadenza in giorno festivo e termini a ritroso

4 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti 11 commenti

risposte a quesiti

In una causa di lavoro, poiché il termine per la costituzione andava a scadere di domenica, ho ritenuto di potermi costituire in cancelleria per la società resistente il giorno successivo, considerando la operatività della proroga ex art. 155, quarto comma, c.p.c.; il difensore di parte ricorrente ha eccepito la tardività della costituzione. Il Giudice deciderà sulla questione alla prossima udienza, avendo rinviato la causa appunto per meglio valutarla. Ritieni che l’eccezione sia fondata? (quesito di un collega)

Temo che l’eccezione sia fondata. La disposizione di cui all’art. 155, quarto comma, c.p.c. secondo il quale la scadenza del termine in giorno festivo è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, non si applica ai termini che si computano “a ritroso” la cui scadenza è anticipata al giorno precedente non festivo; tali termini hanno lo scopo di assegnare un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività processuale, e, pertanto, con la posticipazione della scadenza, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione di quell’intervallo, in pregiudizio delle esigenze di difesa della controparte destinataria dell’iniziativa processuale (nel caso sottoposto, il ricorrente). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità risulta costante (Cass. 19041/2003; Cass. 16343/2002; Cass. 7331/2002; Cass. 5187/1977; Cass. 986/1966).

archiviato in: procedura civile etichette: art. 155 c.p.c., festivo, processo civile, quesiti, termini a ritroso

Equa riparazione, anche l’interdetto ha diritto al risarcimento

4 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Il risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo è configurabile nei confronti dell’interdetto che sia stato parte del processo, atteso che, a prescindere da ogni riferimento al dolore emozionale, il danno in questione è destinato nella specie a rilevare, e ad essere pertanto risarcito, nella sua componente oggettiva, di offesa per la lesione del diritto ad un procedimento giurisdizionale che si svolga nei tempi ragionevoli, prescritti dalla Costituzione e dalla CEDU, a causa della conseguente perdita dei vantaggi personali conseguibili da una sollecita risposta del servizio giustizia.

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione (Sezione Prima Civile, Presidente M. Adamo, A. Giusti) con la sentenza n. 10412 del 6 maggio 2009.

archiviato in: civile etichette: equa riparazione, interdetto

Equa riparazione, il danno va riferito solo al periodo eccedente

4 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

formule assolutorie in tribunale

Ancora una volta la Suprema Corte, in tema di equa riparazione ex Lege Pinto, chiamata a pronunciarsi incidentalmente sulla questione di costituzionalità dell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge n. 89 del 2001), secondo la quale, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, dichiara l’eccezione manifestamente infondata.

Con la sentenza n. 10415 del 6 maggio 2009 (Sezione Prima Civile, Presidente M. Adamo, L. Salvato), per la prima volta, però, la Corte, esplicitamente, si pronuncia sulla eccepita violazione dell’art. 117, primo comma Cost., in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

archiviato in: civile etichette: art. 117 Cost., equa riparazione, legge Pinto

Elezioni e permessi

3 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

risposte a quesiti
Sono un lavoratore dipendente e per le prossime elezioni sono stato chiamato a fare lo scrutatore. Ho diritto di chiedere un permesso al mio datore di lavoro?

Al lavoratore, con contratto a tempo indeterminato e determinato, sia nel pubblico che nel privato, chiamato a svolgere funzioni presso i seggi elettorali per le elezioni del Parlamento (nazionale ed europeo), per il rinnovo dei consigli comunali, provinciali e regionali ed in occasione delle consultazioni referendarie, è riconosciuto il diritto di assentarsi per tutto il periodo corrispondente alla durata delle operazioni di voto e di scrutinio. L’assenza è considerata attività lavorativa a tutti gli effetti. Il beneficio spetta ai componenti del seggio elettorale (presidente, scrutatore, segretario), ai rappresentanti di lista, nonché, in occasione del referendum popolare, ai rappresentanti dei promotori del referendum.

archiviato in: lavoro e previdenza etichette: lavoro, permessi elettorali, quesiti, referendum, scrutatore

Riforma del processo civile: la testimonianza scritta

2 Giugno 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

commenti

Tra le novità più discusse della riforma del processo civile, recentemente approvata dal Senato in via definitiva, l’introduzione, con l’art. 257-bis, della c.d. testimonianza scritta:

Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.

Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.

Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma.

Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma.

Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.

E’ opinione diffusa che difficilmente il nuovo istituto sarà destinato ad una larga e frequente applicazione nella pratica, in primo luogo in quanto la previsione del necessario accordo delle parti restringerà i casi di possibile ricorso al modello alternativo scritto a poche marginali ipotesi, non potendosi di certo immaginare che le parti siano disposte tanto facilmente a rinunciare concordemente all’assunzione della prova più importante nella pienezza del contraddittorio. E’ possibile immaginare, invece, che, laddove ammessa, la testimoniannza scritta sia facilmente oggetto di rilievi e contestazioni dell’una e dell’altra parte che rendano così necessaria l’escussione del dichiarante nelle forme orali ordinarie. Con conseguente dilatazione dei tempi del procedimento (in contrasto con lo spirito della riforma).

Perplessità “gravi” aveva già espresso il Consiglio Superiore della Magistratura, chiamato a rendere il proprio parere sul ddl:

tale introduzione appare di dubbia compatibilità con il principio secondo cui prova testimoniale, per il nostro ordinamento, è solo quella che si forma nel processo avanti al giudice, dato che l’art. 111 della Costituzione presuppone lo svolgimento innanzi al giudice terzo ed imparziale del(l’intero) procedimento, e non di singole fasi o segmenti di esso. Si aggiunga che anche il suo effetto di semplificazione è assai discutibile, essendo agevolmente prevedibile l’emergere di contestazioni circa la corrispondenza delle dichiarazioni testimoniali ai quesiti proposti, o circa la necessità di sentire direttamente i testimoni per chiarimenti o specificazioni o per risolvere contrasti, con conseguenti effetti negativi sulla durata del processo. Inoltre, non sono state considerate le implicazioni derivanti dal ricorso alla testimonianza scritta nel processo contumaciale ove la parte contumace potrebbe essere condannata sulla base di testimonianze rese senza contraddittorio e raccolte fuori dal processo e non davanti al giudice. L’introduzione della testimonianza scritta contrasta infine con i principi del sistema processuale italiano in base ai quali sia l’atto notorio che la dichiarazione sostituiva del medesimo non costituiscono fonti legali di prova, ma devono essere considerati, alla stregua dei documenti, il cui contenuto può essere liberamente valutato dal giudice.

archiviato in: procedura civile etichette: riforma processo civile, testimonianza scritta

Preavviso di fermo, le SS.UU. fanno luce

27 Maggio 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

Con l’ordinanza n. 14831 del 2008, le SS.UU. della Corte di Cassazione avevano già risolto la dibattuta questione della giurisdizione in materia di fermo amministrativo. E ciò avevano fatto con l’affermazione del principio secondo il quale il giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un provvedimento di fermo di beni mobili registrati… deve accertare quale sia la natura – tributaria o non tributaria – dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di sé, interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non tributaria), per la decisione del merito, e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. Allo stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito. Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proprorre originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente competenti.

Il dibattito è proseguito intorno alla parallela problematica della autonoma impugnabilità del c.d. preavviso, non solo per l’oggettiva incertezza in ordine alla qualificazione giuridica dell’atto ma, soprattutto, per la congerie di interpretazioni, spesso contrapposte, che la giurisprudenza ha saputo produrre, non sempre con esiti felici per il contribuente medesimo.

Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sia pure decidendo un ricorso per regolamento di giurisdizione (ed affermando la giurisdizione delle Commissioni Tributarie laddove alla base della procedura di fermo si collochi un credito di natura tributaria), con l’ordinanza n. 10672 dell’11 maggio 2009 hanno affermato il seguente principio di diritto:

il preavviso di fermo amministrativo ex art. 86 D.P.R. n. 602 del 1973 che riguardi una pretesa creditoria dell’ente pubblico di natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice tributario in quanto atto funzionale, in una prospettiva di tutela del diritto di difesa del contribuente e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, a portare a conoscenza del medesimo contribuente, destinatario del provvedimento di fermo, una determinata pretesa tributaria rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c. l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva.

archiviato in: procedura civile, tributario etichette: fermo amministrativo, preavviso di fermo, tributario

Demolizione tardiva, richiesta una congrua motivazione

26 Maggio 2009 by Gioacchino Celotti Lascia un commento

risposte a quesiti

A distanza di oltre 15 anni dal sopralluogo dei tecnici comunali, mi è stata notificata dal Comune un’ordinanza di demolizione di un piccolo manufatto che avevo costruito per ampliare la mia abitazione. Mi chiedo se non vi siano dei tempi da rispettare e se il Comune possa ricordarsi di abusi (ammesso che il mio possa essere definito tale) commessi così a distanza di tempo. Non vanno in prescrizione? (M.C. via e-mail)

No, non vanno in “prescrizione”. Per giurisprudenza consolidata, però, l’adozione di un provvedimento repressivo in materia edilizia, che giunga a distanza di tempo ragguardevole dalla commissione del presunto abuso, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi.
In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 4 marzo 2008, n. 883).
Il primcipio è stato affermato di recente anche dal T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. IV – 05/05/2009, n. 2357.

E’ bene aggiungere che, in ogni caso, per ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo, sarà necessario ricorrere alla competente Autorità Giudiziaria nei modi e termini stabiliti dalla legge.

archiviato in: amministrativo etichette: abuso edilizio, amministrativo, demolizione, edilizia e urbanistica, quesiti

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