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Particolare tenuità del fatto e reato continuato

15 Luglio 2015 by Redazione Lascia un commento

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (terza sezione, sentenza n. 29897 ud. 28/05/2015 – deposito del 13/07/2015) ha escluso la concedibilità della “particolare tenuità del fatto” di cui all’art. 131-bis cod. pen. in presenza di reato continuato, che ricade, secondo il Supremo Collegio, tra le ipotesi di “condotta abituale” ostativa al riconoscimento del beneficio.

Si legge nella motivazione della sentenza:

Secondo la relazione illustrativa del d.lgs. 28/2015, il ricorso all’espressione “non abitualità del comportamento” per definire tale indice criterio è il risultato della scrupolosa osservanza della legge delega da parte del legislatore delegato e si pone su un piano diverso rispetto alla “occasionalità” utilizzata dal d.p.r. 448/1988 e dal d.lgs. 274/2000, cosicché, pur lasciando all’interprete il compito di meglio delinearne i contenuti, si è ipotizzato che esso faccia sì “che la presenza di un precedente giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza ovviamente degli altri presupposti”.

Il riferimento al “comportamento” che deve risultare “non abituale” va poi posto in relazione con quanto indicato nel terzo comma dell’art. 131-bis, il quale prende in considerazione alcune situazioni, che indica, premettendo l’espressione “il comportamento è abituale nel caso in cui…”.

Sempre secondo la relazione, tale comma, aggiunto su sollecitazione espressa nel parere della Commissione giustizia della Camera dei deputati, descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di “abitualità”, entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità.

In effetti, nel parere della Commissione giustizia risulta chiaro l’intento di prevedere una sorta di “presunzione di non abitualità”, laddove, escludendo un contrasto con la legge delega, auspica l’inserimento di una disposizione la quale specifichi “che il comportamento è considerato non  abituale nel caso in cui…” e, successivamente, nell’esprimere parere favorevole, indica nelle condizioni il testo del comma da inserire, il quale inizia con la frase “il comportamento risulta abituale nel caso in cui…”.

Sempre con riferimento al terzo comma dell’art. 131-bis, va posto in evidenza che esso, per come è strutturato, sembra fare riferimento a tre distinte situazioni (“il comportamento è abituale nel caso in cui […] ovvero […] nonché […].

Inoltre, il riferimento all’ipoteso del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, come chiaramente emerge dal tenore letterale della disposizione, si riferisce a condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice (come, del resto, in caso di recidiva – reiterata o specifica – anch’essa ostativa, diversamente da quella semplice, presupponendo la commissione di più reati o di altro reato della stessa indole), mentre altrettanto non può dirsi per ciò che concerne le ulteriori ipotesi, riferite al soggetto che abbia “commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

In tali ipotesi, infatti, non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell’ulteriore richiamo alle “condotte plurime, abituali e reiterate”.

Ciò consente, pertanto, di considerare operante lo sbarramento del terzo comma anche nel caso di reati avvinti dal vincolo della continuazione, quali quelli contestati nel caso in esame, trattandosi di due violazioni di sigilli commesse in tempi diversi, il 25/2/2007 ed il 18/6/2007.

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