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Equa riparazione, il termine per la notifica del ricorso non è perentorio

20 Marzo 2014 by Redazione Lascia un commento

Le Sezioni unite (Presidente G. Santacroce, Relatore M. R. San Giorgio), con la sentenza n. 5700 del 12 marzo 2014, hanno enunciato il principio secondo il quale in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio e, pertanto, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, al ricorrente nella ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza.

La questione, rimessa alle Sezioni unite in quanto ritenuta questione di massima di particolare importanza, concerne la possibilità di concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso volto al riconoscimento dell’equo indennizzo di cui alla Legge n. 89 del 2001, nel caso in cui il ricorrente non vi abbia provveduto nel termine originariamente assegnatogli con il decreto, pure da notificare nel medesimo termine alla controparte.

Premesso un ampio excursus giurisprudenziale ed evidenziata l’esistenza di un filone più restrittivo e di uno meno rigoroso, le Sezioni Unite ritengono di dover condividere quest’ultimo indirizzo, sulla base del rilievo, innanzitutto, della mancanza nella legge che disciplina il procedimento per il conseguimento dell’equo indennizzo da durata irragionevole del processo di una previsione legale tipica che sanzioni con il divieto di accesso alla giurisdizione la omessa notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione della udienza. L’art. 3 della citata legge (nel testo applicabile ratione temporis nel caso all’esame della Corte) contempla solo un termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa dell’Amministrazione, mentre l’art. 4 prevede la decadenza dalla domanda soltanto nella ipotesi di deposito del ricorso oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha concluso il procedimento la cui irragionevole durata si denuncia.

Nessuna norma di legge, dunque, attribuisce natura perentoria al termine indicato nel decreto di comparizione per la notifica dello stesso e del ricorso introduttivo del procedimento per equa riparazione.

Né potrebbe farsi valere – osservano le Sezioni unite – ai fini della individuazione della soluzione da dare alla questione in esame, l’interesse alla celerità del procedimento, che non sarebbe di certo pregiudicato da un rinvio contenuto nei tempi strettamente necessari per consentire l’adempimento dell’incombente di cui si tratta.

Infine, la Corte segnala la differente natura del procedimento per equa riparazione da irragionevole durata del processo nel sistema originario, disegnato dalla legge n. 89 del 2001 nella formulazione previgente alle modifiche di cui all’art. 55 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, rispetto al processo di appello nel rito del lavoro ed alla opposizione a decreto ingiuntivo, procedimenti di natura impugnatori, a struttura bifasica, caratterizzati da una fase iniziale, incentrata sul deposito del ricorso, produttiva di effetti prodromici e preliminari, suscettibili però di stabilizzarsi solo in presenza di una valida vocatio in ius. Nel procedimento de quo, invece, la notifica del ricorso assolve unicamente la funzione di consentire la instaurazione del contraddittorio, e si configura come una fase caratterizzata da autonomia formale e strutturale rispetto a quella precedente, di proposizione della domanda, che si esaurisce con il deposito del ricorso. Tale autonomia, secondo le Sezioni unite, impedisce, sulla base del principio generale di cui all’art. 159 cod. proc. civ., secondo il quale la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, che la mancata notifica del ricorso possa comportarne la improcedibilità.

Sottolineano ancora le Sezioni unite che nel rito del lavoro (per i giudizi di appello, n.d.r.) il contrappeso della sanzione della improcedibilità di cui si tratta è rappresentato dall’obbligo di comunicazione dell’avviso di deposito di detto decreto: con la conseguenza che, ove tale comunicazione non sia avvenuta e l’appellante non sia comparso all’udienza fissata nel decreto, deve essere emesso un nuovo provvedimento di fissazione di altra udienza di discussione, da comunicare all’appellante non comparso.

In definitiva, non si dubita che il legislatore possa condizionare l’esercizio di atti di difesa giudiziale al rispetto di termini, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità: ma, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del momento dal quale esso prende a decorrere.

Nei procedimenti camerali, come quello di cui si tratta, non è previsto un onere di comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della udienza: il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso.

E, dunque, nei procedimenti in questione, in applicazione analogica del regime di sanatoria delle nullità (art. 164, 291 cod. proc. civ.), già esistente nel sistema, siccome dettato con riferimento al procedimento di cognizione, la comparizione di entrambe le parti avrà un effetto sanante del vizio di omessa o inesistente notifica, mentre il giudice potrà, in difetto di spontanea costituzione del resistente all’udienza fissata nel decreto e di comparizione del solo ricorrente, procedere alla fissazione di un nuovo termine per la notifica del ricorso.

Nel caso, poi, di mancata comparizione di entrambe le parti, non potrà che adottarsi lo strumento di cui all’art.181 cod. proc. civ., previsto nell’ordinamento processualcivilistico per tali ipotesi, pur se anch’esso dettato con riferimento all’ordinario processo di cognizione, ma la cui applicazione non è inibita, con riguardo agli specifici procedimenti camerali di cui si tratta, da alcun impedimento logico o giuridico, ed è, anzi, imposta dalla identità di ratio.

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