Con ordinanza dell’11 giugno 2019, la terza Sezione penale della Corte Suprema di Cassazione, evidenziando l’esistenza di contrasti interpretati della giurisprudenza di legittimità – in relazione alla nozione giuridica della “coltivazione” di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti – ha sollecitato un intervento di nomofilachia delle Sezioni Unite.
Con la sentenza n. 12348 depositata il 16 aprile 2020, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:
Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
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