Pronunciandosi su un ricorso per regolamento di competenza, la Suprema Corte di Cassazione (Sezioni Unite, ordinanza 16 marzo 2010, n. 6306) ha affermato un principio che molti commentatori si sono subito affrettati a definire “rivoluzionario” e che hanno così sintetizzato: “la competenza per il giudizio promosso per l’equa riparazione deve svolgersi presso la Corte d’Appello del Distretto dove si è svolto il giudizio di merito“. Del clamoroso revirement giurisprudenziale (mai, prima, i giudici della Suprema Corte, in qualunque composizione, erano giunti a negare, tout court, ai fini del radicamento della competenza, l’applicazione dell’art. 11 c.p.p., richiamato espressamente dall’art. 3 L. Pinto) si è avuta ampia eco sulla rete e tra gli addetti ai lavori. In realtà, sarebbe bastata una lettura più attenta dell’ordinanza in questione per comprendere che, se una rivoluzione c’è stata, questa non riguarda affatto i criteri di collegamento territoriale che continuano ad essere quelli già stabiliti dall’art. 11 c.p.p. per i giudizi di merito svoltisi dinanzi ai giudici ordinari.
Dunque, per chiarire con un esempio, una causa di durata irragionevole pendente o definita dal Tribunale di Napoli, continuerà – anche dopo la “rivoluzionaria” pronuncia delle Sezioni Unite – a rientrare nella competenza della Corte di Appello di Roma per il giudizio di equa riparazione. Così, del resto, nel caso sottoposto all’esame delle SS.UU., è stata dichiarata la competenza della Corte di Appello di Torino in relazione ad un giudizio ordinario di merito svoltosi a La Spezia, proseguito in appello e pendente in Cassazione.
Ma allora, dove sta la portata rivoluzionaria o dirompente della pronuncia delle Sezioni Unite?
Sta nel fatto che, nell’interpretazione accolta dalle SS.UU. dell’art. 3, comma 1, L. n. 89/2001, deve essere considerato in modo unitario il giudizio presupposto nel quale si è determinato il superamento della durata ragionevole, assumendosi a fattore rilevante della sua localizzazione la sede del giudice di merito distribuito sul territorio, sia esso ordinario o speciale, davanti al quale il giudizio è iniziato; ed al luogo così individuato viene attribuita la funzione di attivare il criterio di collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente sulla domanda di equa riparazione, che è stabilito dall’art. 11 c.p.p.
Le Sezioni Unite, con tale pronuncia, sconfessano l’indirizzo sin qui seguito alla 1^ Sezione, secondo cui “l’articolo 3 della legge 89 del 2001 fa riferimento alla sola articolazione territoriale della giurisdizione ordinaria ed il carattere eccezionale della norma ne impedisce ogni interpetazione estensiva o applicazione analogica“. Prima d’ora, la giurisprudenza della Suprema Corte era costante nel ritenere, in coerenza, che, nel caso in cui il giudizio del quale si lamenti la non ragionevole durata penda dinanzi alla Corte di Cassazione, Consiglio di Stato o alla Sezione centrale della Corte dei conti, con sede in Roma, il giudice competente vada individuato non già in virtù del rinvio operato dall’articolo 3, primo comma, bensì secondo gli ordinari criteri dettati dal codice di procedura civile.
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